Derattizzazione e disinfestazione topi

Derattizzazione e disinfestazione topi

Le operazioni di derattizzazione comprendono tutta una serie di operazioni di tipo chimico, fisico e meccanico mirate al controllo dei roditori sinantropi ritenuti infestanti.

Le specie infestanti sono essenzialmente tre:

  • Rattus norvegicus, comunemente noto come ratto di fogna, è una specie infestante cosmopolita e rappresenta attualmente l’infestante dominante nei contesti urbani e industriali e presenta un regime trofico onnivoro, con la capacità di intaccare i materiali più disparati.

  • Rattus rattus, comunemente noto come ratto dei tetti o ratto nero, è stata una specie infestante dominante prima dell’arrivo in Europa del ratto di fogna (XVIII secolo) che praticamente è entrato in competizione con il ratto nero che è stato relegato prevalentemente alle realtà rurali. La dieta è prettamente granivora e frugivora;

  • Mus domesticus, noto come topolino delle case, è una specie legata agli ambienti chiusi e confinati dove si nutre di ogni tipo di derrate alimentari conservate dall’uomo.

Il controllo dei roditori è una procedura assolutamente necessaria ai fini igienico-sanitari che deve essere attuata sempre maggiormente a scopo preventivo nei siti sensibili ad infestazione.

Nelle attività di lavorazione, stoccaggio e vendita di alimenti il controllo degli infestanti rappresenta già un del piano di autocontrollo (HACCP).

Ogni ambiente in cui deve essere applicato un piano di controllo rappresenta un contesto particolare nel quale non devono essere analizzati unicamente gli aspetti tecnici del trattamento (finalizzati alla risoluzione del problema), ma devono essere analizzati tutti gli aspetti per la garanzia della sicurezza e della salute della popolazione.

RISCHI SANITARI

Ogni intervento di derattizzazione finalizzato ad ottenere un aumento di mortalità all’interno della popolazione murina non è scevro di rischi per l’uomo e per gli animali. Tali rischi possono essere riassunti in tre categorie:

  • rischi meccanici, dovuti prevalentemente alle trappole a molla. In ambiente scolastico questo rischio non deve assolutamente essere sottovalutato in quanto, date le ridotte dimensioni delle dita dei bambini, queste trappole possono essere causa di fratture e lesioni da schiacciamento;
  • rischi chimici, dovuti all’impiego e alla potenziale dispersione nell’ambiente di sostanze tossiche o comunque farmacologicamente attive;
  • rischi biologici, dovuti al rischio di morsi e contatti con liquidi biologici (urine, feci e sangue) potenzialmente infetti provenienti da esemplari catturati, ancora vivi, attraverso trappole a bascula o a gabbietta o da esemplari morenti.

In ambito scolastico è comunque opportuno controllare la popolazione murina attraverso l’impiego esclusivo di erogatori di sostanze tossiche e di pannelli collanti (cattura meccanica). Gli interventi di derattizzazione con mezzi chimici negli ultimi decenni hanno subito un radicale cambiamento passando dall’impiego di sostanze tossiche con meccanismo di avvelenamento acuto, attraverso l’impiego di sostanze quali la stricnina, i fosfuri (derivati da reazioni del fosforo con i metalli), la scilla rossa, gli arseniati, i sali di bari o e di tallio e il cloralio all’utilizzo di sostanze ad effetto sub-cronico quali gli anticoagulanti ad azione sul metabolismo della vitamina K.

Il passaggio da sostanze tossiche acute a sostanze tossiche ad azione subcronica (anticoagulanti) ha avuto importanti risvolti in termini di sicurezza in quanto ha permesso di ridurre notevolmente la tossicità delle esche e di disporre in caso di avvelenamenti accidentali o voluttuari di un antidoto rappresentato dalla vitamina K1, oltre alla possibilità di supportare l’intossicato con emotrasfusioni. Inoltre, la concentrazione di anticoagulanti nei topicidi (0,005 di ingrediente attivo) è talmente bassa che occorre ingerire una quantità notevole di prodotto per avere effetti tossici

Clinicamente significativi.

L’utilizzo degli anticoagulanti ha poi un duplice aspetto positivo oltre a quello della sicurezza, ossia quello di non innescare nella popolazione murina la diffidenza per l’esca suscitata dalla spiccata neofobia delle specie afferenti al genere Rattus. In effetti l’intossicazione da anticoagulanti si concretizza quando tutte le riserve di vitamina K dell’organismo sono esaurite (in alcune formulazioni erano presenti sinergizzanti antibiotici aventi lo scopo di distruggere la flora intestinale capace di sintetizzare vitamina K) e quindi aumenta il tempo di coagulazione e diminuisce la protrombina. Seguono quindi fenomeni emorragici diffusi che conducono a morte. Nonostante gli anticoagulanti rappresentino un ottimo compromesso fra efficacia e sicurezza è sempre necessario ricordare che la sicurezza non è mai troppa in particolare nei siti dedicati ai bambini. L’utilizzo di piastre collanti è quindi il metodo di controllo meno pericoloso per la popolazione scolastica in quanto:

  • permette di catturare fisicamente l’infestante;
  • non rappresenta una fonte di pericolo chimico, tutt’al più in caso di contatto con la colla si verifica un banale imbrattamento risolvi bile con il lavaggio dell’area interessata con comuni solventi (es. benzina rettificata). La benzina però non deve essere utilizzata, per motivi tossicologici, nei bambini in particolare in quelli che afferiscono alle scuole dell’infanzia.

Indipendentemente dalla tipologia del mezzo di controllo che si utilizza è assolutamente necessario e obbligatorio segnalare ogni punto di controllo, numerandolo e indicandone il meccanismo d’azione e i potenziali pericoli e l’eventuale terapia. Inoltre, è necessario che a tutti gli ingressi degli istituti siano affissi almeno cinque giorni prima dell’inizio dell’intervento un avviso che precisi l’attivazione di un piano di controllo della popolazione murina; in particolare nelle scuole sarebbe assolutamente necessario che i dirigenti scolastici diramassero una comunicazione alle famiglie con l’intento di avvisare l’inizio di una derattizzazione preventiva all’interno degli ambienti scolastici. L’avviso oltre a contenere informazioni tecniche dell’operazione e la ditta esecutrice dei lavori, deve individuare, senza allarmismi, i rischi potenziali e fornire un numero di telefono utile in caso di contatti accidentali o malori che possano avvenire agli allievi una volta usciti dalle strutture scolastiche in seguito a contatti o ingestioni avvenute per curiosità.

TECNICHE OPERATIVE

Purtroppo, molte ditte eseguono le operazioni di derattizzazione negli ambienti scolastici con gli stessi standard che utilizzano per ambienti industriali frequentati esclusivamente da adulti. Ogni piano di derattizzazione deve prevedere sempre quattro fasi:

  1. monitoraggio: finalizzato ad individuare le criticità ambientali, i siti a maggior rischio di infestazione e la specie ritenuta infestante. Sempre in questa fase è necessario andare ad evidenziare anomalie strutturali ed ambientali che potrebbero concorrere a infestare i locali e che dovrebbero essere risolte primariamente;
  2. progettazione: finalizzata ad individuare la tipologia e la dislocazione dei punti di controllo. Ogni punto deve essere riportato su una pianta dei locali che deve essere conservata presso la ditta esecutrice dei lavori, l’istituto in oggetto e la slirezione didattica. In caso di impiego di esche avvelenate, è in questa fase che devono essere decisi anche il tipo di esca e il principio attivo. Particolarmente utile sarebbe, a progettazione ultima (prima dell’installazione delle stazioni di controllo), richiedere un parere sulla progettazione al Servizio di Igiene e Sanità Pubblica (SISP) dell’AS.L. al fine di ottenere sia un parere tecnico di funzionalità che di sicurezza;
  1. fase operativa: una volta ottenuti i vari consensi e pareri si procede all’installazione dei punti di controllo e della segnaletica necessaria;

fase manutentiva: consiste nel periodico controllo delle stazioni al fine di controllare l’integrità dei box, il saldo fissaggio a parete o suolo e l’asporto dell’esca (per le stazioni con esche tossiche) o la cattura di infestanti (per le trappole meccani- che). La disposizione e la tipologia delle stazioni di controllo sono fondamenta li per un buon piano di derattizzazione preventiva. Per quanto riguarda la disposizione essa varia in base alla tipologia di ambiente e alle caratteristiche di utilizzo. In linea di principio generale è buona norma evitare, negli ambienti scolastici (al chiuso o all’aperto) di scegliere siti troppo appariscenti che possano palesemente attivare l’innata curiosità dei bambini. Per quanto concerne le tipologie di controllo è bene precisare che queste devono corrispondere alle esigenze di sicurezza degli ambienti (vedi Tabella); negli ambienti esterni possono essere ammesse con assoluta tranquillità tecniche di controllo che prevedano l’impiego di sostanze anticoagulanti (sempre bandite polveri traccianti, tossici acuti, avvelenamento di liquidi) preferendo principi attivi di prima o seconda generazione formulati in esca solida (con concentrazione del principio attivo del 0,005) fissabile all’interno dell’erogatore d’esca (vedi Figura). L’utilizzo di esche solide ancorabili all’interno della stazione di avvelenamento (rat blok, salsicciotti paraffinati, ecc.) aumenta considerevolmente la sicurezza della derattizzazione in quanto il roditore non può estrarre l’esca dall’erogatore per trasportala all’internò delle tane evitando di conseguenza dispersioni accidentali delle esche al di fuori degli erogatori per abbandono durante il trasporto. L’estrazione delle esche si verifica abbastanza facilmente quando si utilizzano buste contenenti farinati o pasta in presenza di Rattus norvegicus e rappresenta la fonte di pericolo maggiore per gli allievi e per la fauna selvatica. La dislocazione ambientale di esche avvelenate deve seguire precise regole di sicurezza che revedono l’immissione ambientale di tali esche esclusivamente all’interno di contenitori che devono avere .i seguenti requisiti:

  • costruiti in materiale plastico o di acciaio resistente alle basse e alte temperature ambientali e agli urti;
  • dotati di chiusura a chiave;
  • all’interno, di sistemi di contenimento della formulazione topicida;
  • avere aperture che consentano l’accesso esclusivamente alle specie target;
  • essere ancorati al suolo o a parete mediante tasselli, o a supporti fissi con fascette metalliche. Ancoraggi con silicone o fascette in plastica non garantiscono gli standard minimi di fissaggio e ambedue i materiali risentono fortemente della degradazione termica e luminosa ambientale;
  • riportare indicazioni di pericolo;
  • essere di forma e colore poco appariscenti.

All’interno del dispensatore deve essere inserita una dose congrua di esca, evitando eccessi che favoriscono la dispersione accidentale del prodotto oltre a rappresentare un pericolo maggiore in caso di effrazione del contenitore. Le stazioni devono essere ispezionate, in base al sito e alla gravità del rischio d’infestazione, almeno una volta ogni 30-90 giorni; un’ispezione ogni 60 giorni rappresenta un buon compromesso per una derattizzazione preventiva in aree a medio-basso rischio. Negli ambienti chiusi con destinazione d’uso didattica, il controllo dei roditori a scopo preventivo non è necessario, mentre deve essere attuato qualora si riscontri direttamente (avvistamenti) o indirettamente (presenza feci, urine, rosicchiature) una presenza infestante. Qualora fosse necessario un controllo dei roditori, sarà necessario predisporre stazioni di controllo meccaniche dotate di piastra collante (possibilmente aromatizzata) posizionata in adeguati contenitori di protezione. L’ispezione di queste stazioni deve avvenire in tempi molto ravvicinati (giornalmente) onde evitare processi putrefattivi, sicuramente anti-igienici, di eventuali animali rimasti catturati. L’ispezione giornaliera non può naturalmente essere eseguita dalla ditta di disinfestazione, ma deve essere incaricato un collaboratore scolastico che provveda, in caso di cattura, ad allontanare tutto il contenitore trappola o a sostituire la piastra collante. Anche nei locali adibiti a dispensa, cucina e mensa sono bandite le esche tossiche, mentre è necessario adottare tecniche di cattura meccanica quali l’utilizzo di piastre collanti o trappole a cattura multipla. L’utilizzo delle esche tossiche trova limiti applicativi in questa tipologia di locali dovuti a: aumento del rischio di contaminazione chimica accidentale di ambienti e alimenti;

  • infestanti non catturati e quindi una volta ingerita la dose letale di anticoagulante possono morire nei locali o sulle derrate aumentando, di conseguenza, il rischio di contaminazione biologica.

CONCLUSIONI

Nonostante troppo spesso ci si imbatta con ditte di disinfestazione che operano nell’incuria delle più semplici norme di sicurezza, preme sottolineare che l’operatore è direttamente responsabile civilmente e penalmente per lesioni o danni che possono derivare per l’omissione colposa o dolosa delle norme di sicurezza. In molti casi sussiste la tendenza a non fissare saldamente gli erogatori per le esche; questo aspetto nelle operazioni in ambienti scolastici rappresenta un requisito di sicurezza basilare in quanto i bambini possono prendere l’erogatore e scuoterlo permettendo, nel caso dell’utilizzo di esche in bustina, la fuoriuscita della formulazione ratticida che è scambiata per pongo e maneggiata o, addirittura, portata alla bocca. In altre occasioni si presta poca attenzione alla comunicazione degli interventi e alla sensibilizzazione della popolazione per i rischi potenziali derivanti dalle operazioni di sanificazione. Lacune sono poi rilevabili sui cartelli posizionati per ogni punto esca: sovente riportano informazioni non esaurienti e non aggiornate; in tal uni casi vengono fornite indicazioni mediche errate quale l’utilizzo della vitamina P quale antidoto. La vitamina P rappresenta i bioflavonoidi che non rientrano fra i mediatori della coagulazione e non risultano utili nella gestione in caso di avvelenamento. Nella derattizzazione dei locali scolastici la prudenza non è mai troppa ed è necessario inasprire al massimo le norme di sicurezza e di sensibilizzazione al fine di ottenere una riduzione esponenziale dei rischi derivanti dall’impiego di esche avvelenate. Un ambiente sicuro però si può solo ottenere attraverso un’attenta e corretta azione di monitoraggio e una severa progettazione che non deve mai trascurare gli aspetti di prevenzione ambientale che puntano a creare ambienti inaccessibili alla penetrazione murina e inadatti alla proliferazione. L’utilizzo di anticoagulanti nelle esche, nonostante gli allarmismi che si creano fra i genitori, è comunque un procedimento sicuro considerata la scarsa quantità di ingrediente attivo presente nelle esche. In effetti, utilizzando un’esca contenente lo 0,005 di p.a. anticoagulante, e considerato che in una stazione di avvelenamento non dovrebbero essere presenti più di circa 50 9 di esca, si ha una quantità di principio attivo pari a 2,5 mg; quantità poco pericolosa, in acuto, anche in caso di ingestione, assolutamente poco probabile in caso di incidente, di tutta l’esca presente. In ogni caso di ingestione o di presunta ingestione è assolutamente necessario contattare il medico e cercare rapidamente di risalire al principio attivo presente nell’esca e alla quantità di esca presumibilmente ingerita. In ambito ospedaliero è necessario il controllo del tempo di protrombina che se non subisce alterazioni per 24-48 ore esclude l’ipotesi di un avvelenamento.çrave che necessita di cure intensive. Sicuramente non pericolosi sono i dispositivi utilizzati per la derattizzazione di tipo fisico come gli emettitori di onde ultrasonore. Gli ultrasuoni emessi, non udibili all’uomo, rappresentano una fonte di fastidio (neurovegetativo) per topi e ratti che infastiditi dovrebbero abbandonare il locale. Il problema è che questa tipologia di derattizzazione non è funzionante in quanto trova veri e propri ostacoli fisici che creano delle aree di ombra non raggiunte dalla propagazione spaziale delle emissioni sonore. Ostacoli alla propagazione degli ultrasuoni sono semplici ostacoli materiali che si possono riscontrare negli ambienti abitativi o lavorativi, quali scatole, elettrodomestici, muri, ecc. creando innumerevoli spazi adatti ai roditori, senza poi tenere presente che topi e ratti sono maestri nell’evoluzione e nell’adattamento. Nella migliore delle ipotesi, ammesso che questi dispositivi possano realmente allontanare i roditori infestanti, questi non sarebbero eliminati, ma il problema sarebbe solo differito ad un ambiente limitrofo. Le superfici protette dichiarate dai produttori vanno da 45 a 325 mq, in realtà nella migliore delle ipotesi sono funzionanti entro un metro dalla fonte di emissione sonora. Ne deriva quindi, che nonostante il principio su cui si fonda- no questi dissuasori possa essere scientificamente corretto, al momento i piani di derattizzazione effettuati tramite l’installazione di dissuasori a ultrasuoni o a onde elettromagnetiche sono da ritenersi inefficaci e con nessun risvolto in termini igienico-sanitari per la popolazione. Infine, è necessario precisare che al momento non servono nuove “armi” per la lotta ai roditori, mentre servono urgentemente nuovi “strateghi” che sappiano utilizzare in scienza e coscienza i materiali offerti dal mercato, tenendo sempre in considerazione che probabilmente, come affermato dal grande naturalista spagnolo Félix Rodriguex de la Fuente, la sconfitta dei ratti avverrà con la fine degli ultimi cadaveri della specie umana.

Tarlo del Legno

Tarlo del Legno

Anobium punctatum, (noto anche come tarlo) è un insetto che si nutre della polpa del legno. La sua disposizione xilofaga è infatti all’origine del più comune appellativo di tarlo del legno, o anche tarlo dei mobili.

Di forma cilindrica, con elitre marrone scuro. Raggiunge una lunghezza che varia tra i 3 e i 5 mm. Il pronoto è simile ad un cappuccio da frate che copre la testa dell’insetto. Le antenne sono separate alla base e caratterizzate dal fatto che gli ultimi tre articoli sono considerevolmente più lunghi e larghi dei precedenti.

Gli esemplari femmina di A. punctatum depongono le uova (tra le 20 e le 60) in vecchi fori di sfarfallamento e/o in fessurazioni del legno. Dopo 4-5 settimane le larve appena schiuse penetrano all’interno scavando gallerie dal diametro di appena 1-2 mm, ivi stanziano fino a metamorfosi completa. Le larve si nutrono di cellulosa ed amido, e depositano fibre di legno ed escrementi, ovvero il “rosume”. Solamente quando la larva raggiunge la forma adulta (primavera e autunno) fuoriesce dal legno per sfarfallare all’esterno, lasciando dei caratteristici fori, dal diametro di 2 mm circa, indicativi del suo passaggio. Il rosume è scarso e i depositi granulari sono a forma di limone. Le larve di Xestobium rufovillosum, invece presentano colore bianco e corpo molle e una forma quasi scarabeiforme e si nutrono di cellulosa, emicellulosa e lignina; sostanze organiche molto complesse digeribili grazie a particolari enzimi molto potenti. L’incubazione all’interno del legno può durare anche più di 3-4 anni.

La presenza dei fori sulla superficie legnosa è indicativa quindi di uno sviluppo già terminato. All’interno del legno restano infatti soltanto le gallerie vuote, gallerie che rappresentano una grave minaccia sia per la salute di fusti vivi che per l’integrità della mobilia e di qualsiasi manufatto in legno, in quanto compromettono le funzioni vitali nei primi e la stabilità e robustezza nei secondi. Le condizioni di temperatura minima necessaria all’accrescimento del tarlo del legno è di 13-14 °C e l’umidità relativa deve essere superiore al 50%.

In generale A. punctatum predilige deporre le uova nel legno situato in ambienti domestici perché questo è di più facile digeribilità e lontano da condizioni atmosferiche sfavorevoli. Il variare della temperatura rende impossibile tracciare una cronologia assoluta della metamorfosi di A. punctatum, cosicché possono verificarsi episodi di sfarfallamento anticipati o ritardati rispetto alla norma.

Difesa dai danni

Per bloccare un’infestazione di A. punctatum ci si orienta frequentemente all’utilizzo di appositi insetticidi, come la Permetrina. Gli insetticidi in forma liquida agiscono solo sugli insetti allo stadio adulto o allo stadio pupale che sono già migrati alla superficie del legno (di solito tra i mesi di marzo e maggio) e possono attaccare o rovinare la superficie esterna del legno. I trattamenti, oltre a raggiungere facilmente anche gli esemplari più interni indipendentemente dallo stadio larvale in cui si trovano, non rovinano il legno.

La conformazione dell’Ovopositore delle femmine permette l’ovodeposizione soltanto nelle piccole fenditure. Il materiale legnoso levigato o trattato con smalti, resine e vernici risulta inattaccabile da questa specie.

Un sistema di lotta ecologica, ovviamente per pezzi di piccole dimensioni, consiste nel riporre l’oggetto infestato in un Congelatore per alcuni giorni. La bassa temperatura infatti uccide le larve ma occorre preventivamente valutare i danni che il freddo potrebbe provocare ai manufatti. L’ultimo metodo introdotto per la lotta agli anobidi in generale, tra cui l’anobium punctatum, è il metodo anossico. Questo sistema, introdotto nell’ultimo quindicennio, ha il vantaggio di essere contemporaneamente innocuo per i materiali, ma efficace con l’insetto infestante in ogni stadio di vita: uova, larva, pupa e adulto.

Danni causati da un attacco di Anobium punctatum su un tavolo in noce

Oggi ci sono nuovi trattamenti per la disinfestazione dei tarli tramite calore, come il trattamento a microonde e termico ad aria calda. Tali trattamenti sono impiegati per eliminare in modo ecocompatibile e definitivo i tarli e altri parassiti dannosi in tutte le loro forme biologiche (uovo, larva, pupa, adulto) che attaccano mobili antichi, travi, capriate, boiserie, parquet e tutti i manufatti di arredo in legno. La disinfestazione tramite le Microonde avviene sfruttando l’energia elettromagnetica per scaldare l’oggetto. Trattandosi di applicazioni in tempi molto brevi anche un piccolo errore può danneggiare il manufatto. Inoltre la presenza di oggetti metallici può provocare bruciature. Il trattamento aerotermico porta alla temperatura desiderata di 57 °C il manufatto in maniera omogenea e non risente della presenza di metalli. È inoltre solitamente più economico.

Blatta americana

Blatta americana

La blatta americana (Periplaneta americana) è un insetto blattoideo della famiglia Blattidae. È uno degli insetti infestanti più comuni nelle aree urbane di tutto il mondo ed è la specie di blatta più grande tra quelle che condividono gli ambienti di vita con l’uomo.

Descrizione

La blatta americana ha un colore marrone rossastro, leggermente giallognolo lungo il margine dello scudo del pronoto, che chiude un’area centrale marrone scuro. È un insetto di dimensioni notevoli, variabili da 34 a 53 mm (in media 40 mm). Come in tutte le blatte, la femmina presenta un addome più largo rispetto al maschio. Le ali sono ben sviluppate in entrambi i sessi: nel maschio più lunghe dell’addome, nella femmina di pari lunghezza.
L’ooteca ha un colore variabile tra il rosso scuro e il marrone scuro, è lunga circa 8 mm e larga 5. Presenta dei solchi di suddivisione che non arrivano a metà larghezza e generalmente può contenere fino a 16 uova distribuite metà su ogni lato.
Nei primi stadi ninfali, che son molto difficili da vedere, la colorazione è uniformemente marrone grigiastra sul lato dorsale e più chiara e lucida ventralmente. I cerci sono sottili, distintamente assottigliati dalla base verso l’estremità e circa 5 volte più lunghi che larghi. Gli stadi ninfali più avanzati sono di colore marrone rossastro con i margini laterale e posteriore del torace e le aree laterali dei segmenti addominali un po’ più scuri. Le antenne sono di colore uniformemente marrone.

Biologia

La blatta americana è un volatore modesto e raramente vola. Inoltre è un mediocre arrampicatore e la maggior parte delle volte lo si può vedere per terra. Può facilmente spostarsi su superfici ruvide, come legno o blocchi di cemento, ma non riesce ad arrampicarsi su muri o altre superfici lisce. Se si trova uno scarafaggio su un mobile (es. tavolo, sedia) è molto probabile che vi sia arrivato cadendo dall’alto di un soffitto, dopo aver perso la presa. Questi insetti hanno però delle capacità corsorie notevoli e riescono a spostarsi molto velocemente a terra. Generalmente sono attivi nelle ore notturne; vederli alla luce del giorno presuppone l’esistenza di una notevole infestazione. Infatti in tali orari solitamente riposano in zone oscure e riparate. Istintivamente rifuggono la luce: infatti, se di sera si accende improvvisamente l’interruttore della luce in un locale infestato, si vedranno le blatte, che stavano liberamente scorrazzando, precipitarsi fulmineamente nelle zone più riparate ed oscure della stanza.

Dieta

Dal punto di vista alimentare P. americana è una specie onnivora e opportunistica. Questi scarafaggi si nutrono generalmente di materia organica in putrefazione, ma mangiano praticamente qualsiasi cosa. Preferiscono le sostanze dolci e sono ghiotti di liquidi fermentati, tanto da essere stati trovati anche in bottiglie di birra semivuote. Tra i loro alimenti vi sono: carta, scarpe, capelli, pane, frutta, rilegature di libri, pesce, arachidi, riso, sakè, pelle animale, stoffa e insetti morti.

Ciclo vitale

Le ooteche contengono fino a 16 uova, con una media di 10, e vengono depositate e cementate su superfici vicine a fonti di nutrimento o lasciate cadere in crepe. La femmina non depone la capsula delle uova appena questa è formata, ma la può portare con sé, come un corpo che sporge posteriormente dal suo addome, per un periodo che varia tra qualche ora e 4 giorni. Le uova si schiudono in circa due mesi, e raggiunge la maturità con 13 mute in circa 6 mesi. La femmina può produrre 12-14 ooteche che schiudono dopo 1-1,5 mesi. Il potenziale della specie è alto, se non viene frenato dal freddo invernale. Lo sviluppo si compie in un periodo di durata variabile tra 5 e 15 mesi in relazione alle condizioni di temperatura e umidità. Gli stadi giovanili passano attraverso 7-13 mute e gli animali adulti possono vivere anche più di un anno. In allevamenti di laboratorio raggiungono anche i 2-3 anni di età. Diversi cicli, durante l’anno si accavallano ed è quindi possibile trovare contemporaneamente adulti, neanidi e ninfe di ogni età, nonché ooteche.

Distribuzione e habitat

Diversamente da quanto si potrebbe desumere dal suo nome, non è originario del Nord America ma è stato introdotto in tutto il mondo dall’Africa settentrionale, diffuso principalmente attraverso le navi commerciali. È una specie cosmopolita e la sua diffusione è seconda solo a quella della Blattella germanica. In Italia è più frequente nelle regioni meridionali, specialmente nelle città portuali.
Questi insetti vivono sia all’aperto che in luoghi chiusi e preferiscono ambienti bui e umidi sia freschi che caldi. Si sono adattati a vivere negli edifici (in seminterrati, attorno ai tubi dei bagni, negli scarichi delle fognature), sulle navi, nei ristoranti, nelle drogherie, nelle panetterie, nelle serre e, più in generale, ovunque si preparino o conservino delle derrate alimentari. Negli insediamenti urbani i loro spostamenti si svolgono soprattutto lungo la rete fognaria. Raramente si trovano nelle case, ma dopo forti piogge, si possono verificare anche delle infestazioni di questi ambienti. Occasionalmente sono stati trovati sotto le tegole di tetti e in sottotetti. Possono formare colonie anche enormi, con un numero di individui superiore a 5000 concentrati in un singolo tombino. All’aperto frequentano luoghi umidi e ombreggiati nei giardini, in alberi cavi, cataste di legna, pagliai, mucchi di concime o altro materiale organico.

Rapporti con l’uomo

Lo scarafaggio è morfologicamente predisposto ad agire come vettore meccanico di batteri e altri microorganismi raccolti nella sporcizia che trova sul suo cammino. Oltre a veicolare microbi col corpo, con le zampette spinose e con le lunghe antenne, li dissemina nell’ambiente attraverso le deiezioni e rigurgiti. È portatore di enterobatteri e salmonelle. Il loro materiale fecale, così come i peli e la cuticola, sono fonti di allergie e malattie asmatiche per molte persone. Inoltre il loro odore è molto sgradevole.

Metodi di lotta

Definire il perimetro dell’area su cui intervenire in modo da evitare pericolose fughe in zone adiacenti non infestate e di conseguenza non trattate, che diverrebbero zone rifugio. Prima di iniziare i lavori di disinfestazione, occorre effettuare un attento monitoraggio utilizzando delle trappole collanti o degli spray che abbiano un’attività stanante come ad esempio quelli a base di piretro. Le ooteche sono le forme più resistenti agli agenti ambientali, fisici e chimici, insetticidi compresi. Un mezzo per la cattura è quello di utilizzare trappole con del pane inzuppato di birra come attrattivo.